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Prime impressioni su Honeycomb

Ho avuto la possibilita’ di toccare con mano le qualita’ di Honeycomb, la release 3.0 di Android dedicata ai tablet, su un Motorola XOOM WiFi arrivato dagli Stati Uniti (ci vorra’ ancora un po’ per vederlo in Italia).

Non sono solito fare recensioni di hardware (le lascio agli specialisti, quali TuttoAndroid o Androidiani), ma vorrei comunque raccontare le mie impressioni. Vorrei anche sorvolare molti degli aspetti positivi: anche questi sono piu’ che celebrati da Google e Motorola 🙂 In generale, Honeycomb e’ un ambiente di buona qualita’, molto potente e con una buona usabilita’; non e’ certo un prodotto rivoluzionario ne’, credo, il punto di riferimento per la user experience, ma sono convinto che ci siano basi solide e valide per creare dell’ottimo software per i tablet Android.

E’ inevitabile il confronto con il leader: l’iPad. Che piaccia o che non piaccia, prima dell’iPad i tablet erano un mero esercizio tecnologico; con l’arrivo dell’iPad, il mondo s’e’ messo ad inseguire Apple, borbottando, criticando, deridendo, ma comunque copiando. A quanto pare Apple ha fatto molte scelte giuste e neppure tanto scontate, se la concorrenza fatica anche a copiarle.

Io sono palesemente entusiasta del mondo Android e di questa piattaforma ho fatto il mio futuro professionale dei prossimi anni; nonostante questo, non posso non trovarne le lacune e, anzi, credo che evidenziare i punti deboli sia il modo migliore per trovare spunti di miglioramento.

Ecco qualche commento sparso:

– UI. Credo che Google abbia fatto un bel lavoro: l’interfaccia utente di Honeycomb e’ piacevole, abbastanza originale in se’ e sufficientemente coerente con quanto esiste su smartphone. Me la aspettavo piu’ bella, ma questo e’ un giudizio del tutto soggettivo. Ci sono nuove animazioni, ci sono nuovi menu’ della ActionBar e nuovi tab per navigare tra i Fragment di una Activity. Questa, in realta’, e’ una degli aspetti che mi lasciano perplesso: le applicazioni esistenti utilizzano i menu’ “classici” di Android (che qui non sono piu’ accessibili attraverso tasto fisico, ma per mezzo di un pulsante virtuale che compare nella System Bar immediatamente a destra del tasto di navigazione tra le applicazioni aperte), mentre le nuove si possono avvantaggiare del nuovo menu’: l’utente, dunque, si trova di fronte due user-experience diverse e deve necessariamente verificare, per ogni applicazione, dove sia stato messo il menu’. I nuovi tab, inoltre, sono sicuramente una bella novita’ e rinfrescata rispetto ai TabWidget della versione smartphone, ma quest’ultima continuera’ a soffrire di arretratezza e soprattutto costringera’ gli sviluppatori a fare due versioni delle applicazioni. E considerato che Android non offre un meccanismo simile all’Universal Binary di iOS, il processo complessivo si complica un po’ (si, lo so, giocando con risorse e codice si puo’ avere qualcosa di molto piu’ potente dell’Universal Binary, ma – ripeto – si tratta di qualcosa di piuttosto laborioso e decisamente non lineare). Qui sotto potete vedere il rendering dei menu’ nuovi (sul browser) e di quelli vecchi (sull’ottima Bluetooth Fine Transfer di Medieval Software).

– Hardware. Il Motorola XOOM e’ “un grosso tablet”. Non voglio ripetere qui le misure pubblicate in ovunque sul web, ma al tocco sembra piu’ corposo dell’iPad di prima generazione, decisamente enorme se paragonato all’iPad 2. Anzi, quello che stona e’ proprio il fatto che XOOM e iPad 2 siano praticamente coevi (hanno due mesi di differenza) ma lo XOOM sembra di una o due generazioni precedenti. Piu’ grosso, plasticoso e con la superficie touch decisamente meno cristallina di quella dell’iPad. Direi, pero’, che spessore, peso e alluminio siano gli aspetti che rendono l’iPad migliore. Curiosamente, lo XOOM nasce come dispositivo landscape: la videocamera, infatti, e’ posta sul lato lungo anziche’ su quello corto, come avviene sull’iPad. Anche il marchio Motorola leggibile solo in landscape suggerisce di impugnare il tablet in posizione orizzontale. Direi che per vedere un tablet figo dal punto di vista hardware dovremo aspettare i nuovi modelli Samsung.

– Prestazioni. Molto veloce. Merito del sistema operativo, merito del dual-core, merito della grafica, merito della fata turchina. Non lo so, ma e’ molto veloce. Unica grave pecca e’ una inspiegabile lentezza del browser. Scrollando le pagine (ad esempio verso l’alto) la porzione che era a schermo scorre velocemente mentre la nuova appare bianca e si aggiorna dopo una frazione di secondo. Questo e’ piu’ evidente su pagine complesse ma in generale si manifesta con qualsiasi sito. Capisco che il numero di pixel da gestire e’ grande rispetto ad uno smartphone, ma e’ anche vero che la potenza di calcolo a disposizione non e’ poca e soprattutto il browser diventa un componente indispensabile su un oggetto di questa categoria e, dunque, dovrebbe essere quello meglio curato. Qui sotto ho riportato il grafico del benchmark di Quadrant eseguito sullo XOOM:

– Applicazioni. Detto senza mezzi termini: quelle non ottimizzate per Honeycomb fanno proprio schifo! Un’applicazione semplice in ambiente smartphone, fatta con componenti standard e niente fronzoli, che puo’ essere definia “passabile” sul cellulare, vista sullo XOOM diventa davvero brutta. Il problema piu’ grosso (ne parlo nel prossimo punto) e’ che il Market non consente di filtrare le app fatte esclusivamente per Honeycomb: bisogna affidarsi al titolo assegnato dal publisher (“HD”, “for Honeycomb”, “tablet”). Il tema di default di Honeycomb, poi, e’ con fondo bianco, in leggera “controtendenza” rispetto al nero degli smartphone. Insomma, per sfruttare bene i tablet ci vogliono applicazioni ad hoc.

– Market. Da quanto e’ uscito l’Android Market ha collezionato piu’ lacune che traguardi di download. Classifiche non localizzate, prezzi delle applicazioni nella valuta del publisher (mai viste le applicazioni con il prezzo espresso in Yen? 😀 ), mancanza delle statistiche per gli sviluppatori: queste sono solo alcune delle mancanze dell’Android Market che con il tempo sono state risolte. Ora, con l’arrivo di Honeycomb, molte di quelle mancanze sono piu’ o meno colmate (resta quella delle classifiche localizzate) ma se ne presenta una nuova, che accennavo sopra: non c’e’ (o, se preferite, non ho trovato) un modo automatico per vedere SOLO per applicazioni sviluppate per Honeycomb. Il Market consente di sfogliare tutta la lista delle applicazioni disponibili e non c’e’ quella bella suddivisione dello store che troviamo su iPad.

– Manufacturer. L’ho twittato una marea di volte e non ho timore di scriverlo nuovamente qui: malgrado Motorola produca dell’hardware di ottima qualita’, ha una politica pessima di supporto all’aggiornamento software. Detto in parole povere, comprare un terminale Motorola significa potenzialmente mettersi in casa un oggetto che sara’ obsoleto con il prossimo rilascio del sistema operativo, perche’ verosimilmente Motorola lo aggiornera’ dopo molti mesi o non lo aggiornera’ per niente. In passato, vedere il mio HTC Magic del giugno 2009 ufficialmente aggiornato a Froyo entro il 2010 e contemporaneamente vedere il Motorola Milestone comprato a gennaio 2010 ricevere quello stesso aggiornamento ad aprile 2011 mi ha fatto arrabbiare non poco. Ho dunque il ragionevole dubbio che Motorola abbandoni lo XOOM (primo device al mondo con Honeycomb) cosi’ come ha di fatto abbandonato il Milestone (primo device al mondo con Eclair, nella sua declinazione americana Droid). Arrivera’ lo XOOM 2 o qualcos’altro che distarra’ il manufacturer dai clienti che le hanno dato fiducia al primo lancio. Insomma, grandi annunci, grandi fanfare, ma poi l’acquirente e’ lasciato a se’ stesso. Inutile dire che se i manufacturer non supporteranno per almeno DUE anni i terminali Android in commercio, Apple restera’ l’unica garanzia di avere un oggetto che diventa obsoleto piu’ lentamente. Qualcuno dice che Apple lo fa perche’ ha pochi modelli in circolazione: questo e’ vero, ma se un manufacturer decide di vendere 10 modelli DEVE attrezzarsi per supportarli tutt’e 10. Inoltre – lo sappiamo bene – su 10 modelli che escono difficilmente abbiamo 10 hw diversi: cambiano poche cose, giusto per catturare l’attenzione di diverse fasce di clientela.

– USB. Una nota a parte merita l’interfacciamento via USB; la cosa potra’ apparire strana e di poca importanza, ma secondo me cambia parecchio la user experience su Android. Finora gli smartphone equipaggiati con Android sono stati caratterizzati da pochissima memoria flash interna (da 256MB al giga, circa), lasciando alla SD card il compito di memorizzare immagini, musica ed eventualmente i dati voluminosi delle applicazioni piu’ esigenti. Poiche’, pero’, le applicazioni si installano della memoria interna, era facile saturarla in breve tempo, costringendo l’utente a rimuovere delle applicazioni per installarne di nuove. Prima con delle utility di terze parti (utilizzabili sono con terminali rooted), poi con l’arrivo di Froyo, e’ stato possibile installare le applicazioni su SD. Anche questa e’ stata una soluzione tampone: la memoria a disposizione del sistema operativo restava comunque ridotta e comunque la rimozione della SD rendeva invisibili le applicazioni su di essa installate. Stesso discorso per terminali quali l’ottimo Nexus S, che pur dichiarando 16GB di memoria, offre tutto questo spazio come storage USB (esterno) e, dunque, soggetto alle stesse limitazioni di cui sopra (e’ pur vero che lo spazio a disposizione del sistema e’ di 1GB, dunque ben oltre la media dei terminali Android). In sintesi: per poter esportare la SD (o porzioni della memoria interna) questa deve essere “staccabile” e condivisibile sia USB. Finora questo e’ avvenuto grazie al profilo MSC (Mass-Storage Class), che consente al computer host il controllo diretto e a basso livello della periferica di memorizzazione (sino al livello del filesystem fisico). Honeycomb sostituisce MSC con il profilo MTP (Media Transfer Protocol), che condivide un filesystem logico accessibile contemporaneamente dal device e al computer host. In pratica, il controllo a basso livello resta ad Android, mentre il computer accede al filesystem attraverso un demone che lo virtualizza (come se fosse un server FTP o WebDAV). Il computer host, dunque, non puo’ effettuare operazioni come formattazione o partizionamento del filesystem. Il vantaggio e’ immediato: i 32GB del device sono sempre accessibili e tutti a disposizione del sistema operativo e delle applicazioni. Finalmente si lavora senza quelle odiose limitazioni in mente. E anche il pannello di controllo di dice che c’e’ un’unica memoria, piu’ che abbondante:

Vi e’, ovviamente, il rovescio della medaglia: mentre MSC e’ universalmente supportato, per MTP occorre un driver. Su Windows e’ integrato con il sistema operativo: il protocollo e’ stato progettato da Microsoft per i suoi player mp3! Su Linux ci si appoggia alla libmtp (usata da molti software), mentre su Mac OS X l’unica possibilita’ e’ rappresentata dall’utility XNJB. Dubito fortemente che vedremo MTP integrato nel finder in tempi brevi (ce la vedete Apple a supportare contemporaneamente un protocollo di Microsoft per i tablet di Google? 🙂 ).

In sintesi: benvenuto Honeycomb, c’era bisogno di questo slancio nel mondo Android. Ora aspettiamo il merge con la piattaforma smartphone, un Market piu’ intelligente, una UI piu’ coerente, una maggiore serieta’ dei manufacturer per l’aggiornamento dei terminali.

Anche i migliori sbagliano

Anche i migliori sbagliano. Ne e’ prova lo screenshot qui sotto, catturatu su un iPhone. Se non c’e’ “niente da annullare”:

1) perche’ e’ mostrata quella dialog?

2) perche’ il pulsante mi invita ad… annullare?

Centinaia di anni/uomo di design, test e sviluppo non hanno salvato iOS dal proporre all’utente una informazione ambigua e inutile. A voler essere pignoli (e magari un po’ stupidi) non si dovrebbe mai premere il pulsante “Annulla” proprio perche’ non c’e’ “niente da annullare”. 🙂

Mi ricorda una finestra di OS/2, di tanti anni fa: all’utente veniva posta una domanda e i tre pulsanti alla base della finestra avevano come etichette “SI”, “NO”, “REGREDISCI”. Evidentemente il traduttore in IBM aveva pensato di tradurre “CANCEL” con “REGREDISCI”. Tremendo! Peccato (per il traduttore) che la regressione non sia quasi mai un fenomeno auspicabile, a meno che non si tratti di una malattia (e allora ben venga!). E cosi’, per anni ho temuto che clickando “REGREDISCI” mi sarei trasformato in scimmia oppure sarei tornato nel brodo primordiale. Accetto i rischi del “SI” e le conseguenze del “NO”, ma, per favore!, non chiedetemi di regredire!

A primavera sboccia la Carbonara

Se passate a Roma dalle parti del Viale Cristoforo Colombo, all’altezza del quartiere Garbatella (quello della fiction “I Cesaroni”), vi consiglio di fermarvi a pranzo presso “Il Girasole”, in Via Rosa Raimondi Garibaldi 26/28. Il buon Alessio N. l’ha segnalata come uno dei posti dove mangiare una delle migliori carbonare di tutta Roma e devo dire che non si e’ sbagliato! Recensito anche da 2Spaghi, il posto merita davvero una visita. A seguire, la prova fotografica:

Celebriamo l’Unità d’Italia

Da nord a sud, ecco un incontro di sapori che celebra l’Unità d’Italia. Maccheroni pugliesi freschi incontrano asparagi selvatici sardi. Un filo d’olio extravergine d’oliva toscano e abbondante parmigiano stagionato 24 mesi uniscono i sapori. Pasta molto saporita (anche senza condimento), condimento ineguagliabile. Viva l’Italia!

Android Stack

Spesso amici e colleghi mi chiedono quali terminali Android uso per fare i test… giusto qualche giorno fa li ho messi tutti assieme e ho fatto questa “foto di famiglia”:

IMG_7813

Se volete conoscere quali terminali sono, guardate la foto su Flickr oppure guardate lo stack partendo dal basso (Archos 7 Home Tablet, Zii EGG, Motorola Milestone, Geeksphone One, HTC Dream, HTC Magic, LG Optimus One, Samsung Galaxy Mini, ZTE Blade, Huawei U8220, Samsung Nexus S, Huawei Ideos).

Smart Style

Si, questa Smart e’ in sosta.

Non ferma con qualcuno dentro. Ferma, spenta, chiusa.

Vi prego, amministrazioni pubbliche, investite in carri attrezzi e portate via queste dimostrazioni di arroganza e mancanza di rispetto nei confronti di tutti i cittadini onesti e corretti. Grazie.

Alla faccia del divieto

Come ben sappiamo, il divieto di sosta vieta (appunto!) di lasciare in sosta il veicolo, ovvero di spegnere il motore e “abbandonarlo” in un certo punto. Esiste poi il divieto di fermata, che vieta al conducente di fermarsi con l’autovettura in un certo punto, anche se lui e’ a bordo e con il motore acceso (a meno che, ovviamente, non sia fermo il traffico). Il divieto di fermata e’, dunque, molto piu’ forte del divieto di sosta. Potremmo interpretare il divieto di fermata come un bel “levati dai piedi appena puoi” oppure “non fermarmi in mezzo alle scatole proprio qui”. E’ un messaggio chiaro, perentorio. Cosi’ chiaro e perentorio che il proprietario di questa Porsche lo ha fatto suo, nell’anima:

L’invadenza del software

Ieri mattina mi trovavo da parenti per il consueto appuntamento con lo scambio di auguri natalizi, seduti su un divano e con la TV distrattamente accesa (ovvero, messa su un canale piu’ o meno a caso in attesa di un telegiornale). Ad un certo punto (senza che nessuno avesse attivato alcun che’ sul telecomando), sulla TV e’ apparso il messaggio che potete vedere qui sotto:

In pieno stile orientale, ho chiesto subito una macchina fotografica per immortalare l’evento. Come si puo’ vedere nell’immagine, il decoder DTT ha arbitrariamente deciso di aggiornare il firmware (senza, dunque, chiedere conferma all’utente prima di procedere all’aggiornamento), bloccando la TV per circa 30 minuti. Addio TG, addio eventuale evento sportivo (se non fosse stato Natale), addio televideo o qualsiasi altra cosa.

Follia!

Il software, per sua natura, dovrebbe essere poco invadente e puo’ essere poco invadente: puo’ aggiornarsi in background (cosa che l’hw non puo’ fare!), puo’ aggiornarsi da solo (cosa che l’hw non puo’ fare), puo’ chiedere all’utente se e quando fare una certa cosa. Quando il software non si comporta in questo modo diventa invadente e fastidioso, perche’ non in grado di sfruttare le sue potenzialita’. Di fronte all’idiozia di questo aggiornamento, comincio a capire le tante persone (specie anziane) che detestano e cercano di sfuggire alle ultime tecnologie: come potremmo spiegare loro il motivo di 30 minuti di blackout forzato della TV non dovuto ad un malfunzionamento ma ad una precisa volonta’ di chi ha progettato/realizzato il sistema? Non e’ possibile spiegarlo se non come una manifestazione di incompetenza e poca cura nei confronti degli utenti. Cioe’ noi. Cioe’ tutti.

C’e’ poco da fare: o si mette al centro dell’esperienza d’uso la persona, oppure avremo sempre e comunque prodotti mediocri.

Dimenticavo: Buon Natale!

L’importanza del buon pane

Il nostro Paese puo’ vantare un grandissimo numero di prodotti alimentari eccezionali sotto tanti aspetti: bonta’, genuinita’, sapore intenso e caratteristico oltre a tutta una serie di qualita’ nutrizionali. Questa ricchezza e’ giustamente protetta dalle varie denominazioni DOC, DOP, IGP e cosi’ via. Ecco, dunque, che olii, formaggi e salumi frutto delle nostre tradizioni locali diventano eccellenze alimentari che possono essere riconosciute, promosse, difese da contraffazioni e imitazioni.

Ammesso di trovare i canali distributivi giusti e di poter disporre di adeguata disponibilita’ economica (mangiare bene costa), si puo’ davvero creare un trionfo di sapori a tavola, a casa propria cosi’ come in ristorante. Di recente, ad esempio, ho mangiato delle fenomenali bruschette con Lardo Di Colonnata (IGP, http://it.wikipedia.org/wiki/Lardo_di_Colonnata), salume di cui avevo sentito parlare tante volte ma che non avevo mai assaggiato.

Nel mio (comunque piccolo) peregrinare per ristoranti a gustare specialita’ locali piu’ o meno prelibate, ho dovuto pero’ constatare che un particolare viene spesso trascurato: il pane. Lascio perdere una polemica che mi porto dietro da anni, ovvero in fatto che la stragrande maggioranza dei locali porti come coperto 3-4 fette scarse di pane, quantita’ assolutamente ridicola gia’ per un singolo, figuriamoci per una tavola con almeno tre persone! Vorrei invece soffermarmi sulla qualita’ del pane stesso. Indubbiamente, il pane dei panifici industriali ha consentito di abbassare il prezzo (non ne sono sicuro) e di aumentare la durata del prodotto (anche di questo non ne sono sicuro), ma e’ indubbio che la qualita’ ha perso parecchio. Ad ogni modo, poiche’ non tutti i giorni mangiamo prodotti IGT/DOC/DOP, ha senso mangiare pare industriale per la maggior parte del tempo.

Quel che non capisco, invece, e’ perche’ anche in ristoranti rinomati e apprezzati per la squisitezza dei propri piatti, l’offerta del pane sia di qualita’ mediocre. Si accompagnano piatti delizioni con vini eccellenti e poi si abbandona il pane ad una scelta di seconda o terza categoria.

Ecco, dunque, che trovare pane buono e’ diventato per me sinonimo di mangiar bene. E visto che in ristorante non posso forzare la scelta, almeno a casa cerco di portare pane buono. Pane buono.

Ho scoperto per caso il Pane Casereccio di Genzano (IGP, http://it.wikipedia.org/wiki/Pane_Casareccio_di_Genzano), che e’ assolutamente eccezionale.

Pane salato (nel senso, non “pane sciapo”), molto croccante fuori e altrettando morbido e vaporoso all’interno, ha un sapore nettissimo, deciso ma che non copre i sapori degli alimenti che accompagna. Ricorda molto da vicino in Crivraxiu (http://it.wikipedia.org/wiki/Civraxiu), specie quello di Sanluri (molto grande e con la mollica vaporosa).

Buono da solo, spettacolare con un salume sopra, vince su tutti come pane da scarpetta. Dicevo, appunto, che l’ho scoperto per caso e ho avuto la piacevole sorpresa di trovare un ottimo prodotto addiriddura etichettato filone per filone.